Bologna. Vigilessa uccisa: “Gualandi la usava per destabilizzare l’ambiente”

Redazione

Nonostante non fosse più il comandante, lei lo “riconosceva come suo superiore”, persino al posto dei colleghi che effettivamente lo erano; inoltre “si rivolgeva a lui per qualsiasi cosa”. E’ la sovrintendente di Polizia locale Antonietta Meola a tracciare in udienza un quadro della situazione lavorativa che faceva da contorno al rapporto umano – e sentimentale – tra Giampiero Gualandi e Sofia Stefani: il 63enne è alla sbarra in Corte d’Assise a Bologna, accusato dell’omicidio della 33enne, con la quale intratteneva una relazione extraconiugale. La donna fu uccisa il 16 maggio dell’anno scorso da un colpo partito dalla pistola di ordinanza di Gualandi, sparato nell’ufficio dell’uomo nella sede del Comando dei vigili di Anzola. L’imputato sostiene che quel colpo partì per caso durante una colluttazione, mentre per la Procura si tratta di omicidio volontario. La teste, sentita in aula, ha aggiunto che la Stefani durante il lavoro “aveva comportamenti non consoni”, rivelando poi di non essere stata in buoni rapporti lavorativi con la vittima, anzi di aver avuto con lei quelli che ha definito battibecchi. Sconti che la testimone mise nero su bianco in tre relazioni che – è emerso – furono alla base del trasferimento della Stefani dal comando di Sala Bolognese. In aula è stata la volta anche di un’altra ex collega, Cristina Laneri, che ha confermato i cattivi rapporti tra la 33enne e i colleghi. Situazione che, a suo dire, Gualandi sfruttava “per destabilizzare l’ambiente”.

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